Ho coltivato la rosa bianca – Pensieri lunghi dei giorni brevi Difficile incasellare questo libro di Carlo Galeotti dentro una precisa geografia testuale. Formalmente ha l’aspetto di un diario, con la scansione in mesi e giorni che danno il ritmo alla narrazione, ma la predisposizione autobiografica viene parcellizzata dentro una serie continua di riflessioni e commenti, di analisi sull’esistere, di considerazioni sul tempo presente e sul tempo trascorso, dando la sensazione che la voce narrante sia contemporaneamente dentro e fuori il mondo che racconta, ne faccia parte ma allo stesso tempo lo analizzi dalla distanza di sicurezza di un luogo che non esiste più (o che forse non è mai esistito): un favoloso giardino di rose bianche che sembra precipitato da un paesaggio edenico. Potremmo pensare a un diario della mente, come lo definisce lo stesso Galeotti, che nella sua breve nota “a mo’ di prologo” mette in gioco da Charles Dickens a José Martí, consapevole di affondare sé stesso in un flusso di coscienza che procede per frammenti senza un’apparente connessione logica, saltando da un argomento all’altro con la giocosa curiosità di un saltimbanco della parola: dalle stragi di popoli ai “maestri del bello”, dal bracco Wittgenstein ai Pirati della bellezza, dall’effetto Dunning–Kruger a Renzo Arbore. Il termine “frammento”, però, non è mai neutro, soprattutto nella tradizione letteraria italiana, che dalla lirica di Petrarca agli autori vociani ne ha fatto, in diverso modo, un asse portante di una scrittura di profonda limpidezza formale. Galeotti lo declina in un modo tutto suo, tra il distacco zen e il paradosso, secondo una procedura che potrebbe far pensare ai Fatti inquietanti di Juan Rodolfo Wilcock, se non fosse per la presenza di uno sguardo molto più candido e meno grottesco. Anche questa suggestione però sfugge, come l’anguilla di cui l’autore è goloso, così come sfugge l’idea che questo libro possa essere osservato da un unico angolo visuale; il che ci suggerisce, stando al gioco dei mille specchi, che il modo migliore per leggerlo è di adottare una modalità altrettanto informe e frammentaria, in modo simile a come si potrebbe sfogliare un almanacco astrologico o le spigolature della Settimana enigmistica. In questa direzione le categorie interpretative non interessano più, così come le suggestioni culturali che si nascondono dietro le parole; interessa invece notare come in ogni pagina e in ogni frase, sotto la fitta rete di riflessioni e di notizie, viene fuori il vero elemento connettivo che funziona da cuore pulsante, la rosa splendente che l’autore coltiva con impegno e dedizione: Noah, la dedicataria del libro e la ragione stessa della scrittura, l’unica vera destinataria di questa bizzarra e stravagante operetta. È qui che Galeotti scopre interamente sé stesso: nel nome di una bambina che non sa ancora leggere, perché questo libro è prima di tutto un ponte di comunicazione tra Carlo e sua nipote, un viaggio nel tempo rivolto a un futuro che ancora non esiste, quando Noah potrà ascoltare le parole del suo vecchio nonno – solitario nella sua Arcadia etrusca – e trovarvi dentro qualcosa che la riguarda. Da questo punto di vista i pensieri che si susseguono in queste pagine non sono altro che un modo per alimentare, con la cura botanica di un giardiniere della scrittura, un rapporto d’affetto con un piccolo fiore che dovrà crescere.
Giorgio Nisini.
Libri / Letteratura italiana
Ho coltivato la rosa bianca
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Autore: Galeotti
Anno: 2023
Genere: Letteratura italiana
Editore: Carlo Galeotti
Pagine:
Descrizione